Nasceva una nuova Italia quando nel 1852 Leopoldo II, "principe imperiale d'Austria, principe reale d'Ungheria e di Boemia, arciduca d'Austria", ma soprattutto "granduca di Toscana" emise quel decreto che consacrava, nell'aulico linguaggio della burocrazia di corte, l'istituzione, anche a Pisa, di un Corpo di Polizia Municipale. Sul Granducato cominciava già in quegli anni a spandersi la luce radente del tramonto ed anche per una dinastia tollerante e illuminata, quale fu complessivamente quella dei Lorena, era difficile continuare a governare un paese che avvertiva forte, se non addirittura imperioso, il bisogno di entrare a far parte di uno stato unitario e sovrano. Da lì a pochi anni, infatti, senza grandi traumi i Lorena avrebbero abbandonato la "diletta terra toscana", lasciandosi dietro qualche ombra - gli anni dal 1848 al 1859 - oltre soprattutto al ricordo di una lunga stagione di buon governo. Cominciò allora la lunga avventura delle Guardie Municipali che così furono chiamate fino al 1924, quando cambiarono la denominazione in quella di Vigili Urbani, per poi ritornare ad assumere nuovamente l'originario nome di Polizia Municipale nel 1986, a seguito dell'entrata in vigore della Legge 65 "Legge quadro sull'ordinamento della polizia municipale".
Già in epoche precedenti, ad esempio nel 1815 e 1836, si trovano negli archivi tracce di formazioni di Polizia Municipale più o meno riconosciute, ma è solo alla data del 10 giugno 1852 che si fissarono ruoli e competenze: ".......... invigilare non tanto sulla osservanza dei Regolamenti di Polizia Municipale, oggetto primario della loro istituzione, quanto ancora sulla sicurezza delle proprietà urbane e rurali, delle raccolte e dei prodotti della terra ....." che ancora oggi potrebbero essere messi in epigrafe dal Regolamento del Corpo a valere per gli anni Duemila. Quasi inutile aggiungere - ma la burocrazia granducale sapeva che era meglio spendere qualche parola in più piuttosto che ritrovarsi brutte sorprese - che i prototipi ideali di Guardia Municipale fissati dal decreto granducale, "debbono essere di specchiata condotta morale e politica, saper leggere e scrivere", mentre il loro "Ufficio" deve ritenersi "incompatibile con qualunque altro impiego..... non meno che colla condizione di Colono". Sconsigliato anche, anzi addirittura proibito, è "vendere o permutare" la carabina e la sciabola di Ordinanza.
Molto tempo è trascorso da allora e quello che chiede oggi una comunità organizzata al suo Corpo di "Guardie Municipali" è molto più di quello che fissò nel suo decreto il Granduca Leopoldo II nel 1852, anno in cui, tra l'altro, vide la luce il primo Piano Regolatore di Pisa, quello firmato dall'Ing. Silvio dell'Hoste al quale si può far risalire, pur in mezzo a incongruenze, forzature e clamorosi errori, il primo tentativo di dare alla città un programma organico e ordinato di sviluppo. Da allora, nei momenti di festa come in quelli di dolore, Pisa ha camminato insieme al suo Corpo dei Vigili Urbani, che hanno segnato, con la loro presenza, gli appuntamenti di maggior rilievo.
Possiamo oggi ricordarne alcuni, assegnando ad essi il compito di rappresentare tutti gli altri che, comunque archiviati nella memoria collettiva della città, costituiscono la storia ultracentenaria di Pisa. E in questa sorta di viaggio a ritroso nel tempo come non citare il 31 Agosto del 1943 quando, sotto il primo bombardamento, Pisa visse le sue ore più tragiche, poi ripetute nei mesi successivi, con le due rive dell'Arno scelte a delimitare il fronte, e il Corpo dei Vigili Urbani rappresentò l'unica e concreta immagine di un potere politico che stava per essere travolto. Ed ancora torna alla memoria l'alluvione del 4 novembre 1966 quando da Ponte di Mezzo a Porta Fiorentina una marea di fango rischiava di travolgere strade e case con i Vigili in prima linea per salvare il salvabile. Il tragico scoppio del 27 dicembre 1981 in piazza Chiara Gambacorti, quando i Vigili Urbani in quel momento in servizio si trovarono al loro fianco gli altri colleghi che, saputa la notizia, avevano sentito il bisogno di rientrare spontaneamente in servizio per dare una mano a scavare tra le macerie ancora fumanti alla ricerca di vite da salvare.
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